L’alcolismo giovanile e la cirrosi epatica in Italia sono ancora un problema nascosto

Elaborato di Sofia Quaglia

Loreto Pagnani ha iniziato a bere all’età di tredici anni. Un ragazzino di Frosinone, beveva un po’ per sentirsi grande e un po’ per sentirsi meno timido. Era giovane; si sentiva indistruttibile. D’altronde chi non ricerca l’approvazione degli altri con i primi sorsi in adolescenza?

A neanche vent’anni un bicchiere tirava l’altro, lo Stravecchio era il suo liquore preferito, e le giornate si accorciavano sempre di più: prima due bicchieri la sera, poi un bicchiere al pomeriggio e due la sera, fino ad attaccarsi alla bottiglia appena sveglio. Si circondava solo di altri ragazzini che, come lui, non facevano altro. Nonostante la sua famiglia facesse di tutto per allontanarlo dal vizio, a volte persino arrivando alle mani, Pagnani viveva per bere e beveva per vivere, completamente schiavo della sua dipendenza da alcool iniziata così, come gioco de regazzini.

“Cominci a negare a te stesso, e un po’ a tutti, che hai un problema con l’alcol,” spiega Pagnani. “La cosa più brutta è proprio che lo neghi a te stesso. Ti accorgi che l’alcol sta per avere la meglio su di te, ma non fai nient’altro che accelerare queste bevute, non rendendoti conto che la dipendenza ti sta per avvolgere.”

“In cuor tuo sai che la cosa sta per sfuggire di mano, che non sei più tu il padrone della tua vita,” aggiunge. “La cosa è una morsa, da cui tu non riesci a uscire.”

Con l’arrivo dei 23 anni arrivarono anche i primi tremori da astinenza alcolica e i conati di vomito e di sangue. Un dottore prese Pagnani in disparte, lo guardò negli occhi e gli intimò di smettere. Il suo fegato era diventato enorme, “stava per esplodere”, arrivava fino alla quarta costola ed era sull’orlo di una cirrosi.

“Mi hanno detto assolutamente di smettere di bere perché se no il prossimo ricovero per me non ci sarebbe mai stato. Un dottore mi disse: guarda, chiama la tua famiglia perché tu non vai a lungo, tu sei giovanissimo, ma stai per morire e non lo sai.”

Oltre 800,000 italiani sono alcoldipendenti. Come nel caso di Pagnani, questo è un problema che colpisce sempre di più i giovani, spesso risultando in gravissime complicazioni per la loro salute fisica e mentale. Uno dei risvolti più trascurati è la cirrosi epatica, una patologia degenerativa del fegato, che rientra tra le dieci principali cause di morte in Italia. Per contrastare questo problema in crescita, esperti medici e scientifici sottolineano l’importanza dell’educazione in materia e la creazione di comunità pronte ad intervenire.

L’ALCOLISMO E I GIOVANI ITALIANI

Nel 2019 in Italia, il 66,8% della popolazione di età superiore agli undici anni ha consumato alcolici, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Il 20% di tutta la popolazione italiana sopra gli 11 anni consuma alcol ogni singolo giorno. Nonostante questa percentuale sia stabile rispetto alle statistiche del 2018, l’ultimo anno ha registrato un visto un incremento del numero di persone che consumano alcol occasionalmente, specialmente fuori dai pasti. Circa 8 milioni di italiani sono a rischio di sviluppare patologie correlate al consumo di alcol.

 Il problema principale in Italia è che, come per Pagnani, i primi bicchieri vengono consumati all’età di 11/12 anni: la media più bassa d’Europa. Infatti, il resto del continente il primo sorso di alcol avviene in media dopo i 14 anni. Oltre al 14% dei giovani italiani sotto i 24 anni consumano alcol ogni giorno, e alcuni di questi hanno sviluppato problemi di alcolismo gravi ancora prima di raggiungere la matura età, sempre secondo l’Istat.

Queste statistiche sono persino esasperate da nuove “mode” e abitudini. Il binge drinking, cioè consumare grandi quantità di alcol in poco tempo con lo scopo di ubriacarsi velocemente, di solito fuori dai pasti, porta ulteriori vittime giovani nelle braccia dell’alcolismo. Quasi il 20% di giovani sotto i 24 anni fa binge drinking, secondo dati del 2019.

Nonostante questo fenomeno prevalga tra gli individui di sesso maschile, la popolazione femminile presenta numerosi casi in cui il consumo di alcol coincide con il digiuno. Alcune ragazze, quindi, saltano appositamente i pasti così da inebriarsi rapidamente, limitando le calorie e gli zuccheri. Questo fenomeno, conosciuto come drunkorexia (anoressia da sbronza), insieme al binge drinking, accentuano i gravi danni fisici provocati dall’alcol nei giovani, secondo la ricercatrice Alycia Powell-Jones, che si occupa di ricerca sull’alcolismo giovanile in Australia.

L’uso sproporzionato di alcolici può portare a oltre 200 malattie diverse, secondo l’OMS, con oltre il 5% di tutte le problematiche di salute mondiali attribuibili all’alcol. L’alcol è la prima causa di morte per i giovani uomini europei. In Italia, ogni anno, il 10% di tutte le malattie, il 10% dei tumori, il 45% degli incidenti e il 9% di tutti i disturbi cronici sono riconducibili all’alcol, secondo i dati di Alcol.info.

“Le problematiche alcol-correlate sono la terza causa di malattia e di disabilità nella popolazione generale e la prima causa di morte sotto i 24 anni,” spiega Gianni Testino, SC Patologie delle Dipendenze ed Epatologia Asl 3 Liguria, durante il corso di formazione per giornalisti “Epatologie: i pazienti dimenticati”. “È stato stimato che negli ultimi dieci anni sono decedute mezzo milione di persone,” afferma Testino. “Un dato veramente enorme.”

EPATOLOGIA: LA CIRROSI EPATICA ALCOL-CORRELATA

Non è raro che l’eccesso di alcol risulti in cirrosi epatica, che comporta una lesione del fegato per cui l’organo si distrugge e cicatrizza pian piano, perdendo tutte le sue funzioni. In Italia, l’alcolismo rappresenta la seconda causa di cirrosi epatica ed è responsabile per il 70% di tutte le morti per cirrosi (e motivo principale per la necessità di trapianto di fegato). La cirrosi epatica è tra le dieci principali cause di morte in Italia, secondo i dati di cirrosi.com. La cirrosi è spesso priva di sintomi, dicono gli esperti, e molti pazienti sono inconsapevoli di soffrirne fino a quando non è troppo tardi.

“La cirrosi è la punta di arrivo, la degenerazione del fegato, dovuta da una serie di cause,” spiega Dario Manfellotto, presidente della Federazione delle Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti (Fadoi), al corso “Epatologie”. “Questa malattia impatta notevolmente la vita del paziente. Impatta la vita sociale e gli aspetti epidemiologici ed economici del sistema sanitario.”

“Tanto più fai una diagnosi di cirrosi tardivamente, tanto più riduci la sopravvivenza della persona,” aggiunge Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione EpaC Onlus, durante lo stesso corso. “E a volte elimini anche la possibilità di fare un trapianto di fegato.”

La cirrosi epatica, infatti, non si può curare, ma solo rallentare nella speranza che il fegato si rigeneri, oppure effettuare un trapianto di fegato completo. Testino spiega che, per i pazienti cirrotici di natura alcol-correlata, il trapianto di fegato ha le più alte possibilità di successo.

“Quindi dobbiamo per forza abbattere lo stigma che noi tutti abbiamo nei confronti dei pazienti che sono affetti da alcol-dipendenza,” dice Testino. “Perché se ben trattati e ben seguiti, possono avere un futuro migliore.” Occupandosi di un paziente cirrotico, un medico si trova sempre più spesso davanti a un duplice problema: sia la dipendenza da alcol che la cirrosi epatica. Dovrà prima portare il paziente in sobrietà e poi curarlo dalla cirrosi, spiega Testino.

Testino sottolinea un aumento considerevole di casi di cirrosi epatica tra i giovani negli ultimi cinque anni, proprio perché il consumo di alcol comincia durante l’adolescenza. “Nella fascia che arriva sino ai 17 anni, quindi quella fascia dove vi è il divieto di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche, il consumo di alcol supera il 50%,” dice Testino. Prima di adesso, la cirrosi era conosciuta come una patologia che colpiva fasce di età più avanzate.

Secondo la scienza, questa problematica è legata alla conformazione del cervello adolescente.

“Il cervello dell’adolescente è in via di maturazione,” spiega la Dottoressa Lucia Carriero, neuroscienziata e CEO di Neuroset Italia, presso il corso di formazione “Epatologie”. Gli adolescenti subiscono un aumento sbilanciato di connessioni nelle aree del cervello addette a identificare gli stimoli gratificanti, cioè nelle aree dopaminergiche che processano le sensazioni di piacere, spiega Carriero. Mentre le aree dell’inibizione, che regolano la parte del freno, si sviluppano successivamente. Questo fa sì che gli adolescenti siano particolarmente sensibili a stimoli incentivanti, specialmente in situazioni sociali, e siano “risk seeker, sensation seeker” abbastanza da arrivare al consumo di alcol nocivo già in giovane età.

DAL FEGATO AL CERVELLO

Non solo il cervello può contribuire a un avvicinamento all’alcol, è anche uno degli organi più danneggiati dal bere.

L’alcol, in quanto tossina, danneggia o uccide i neuroni. Varie ricerche hanno dimostrato che il consumo eccessivo di alcolici può portare persino al rimpicciolimento del cervello. Il protratto uso di alcolici può portare ad una confusione cronica, la paralisi dei muscoli visivi, problemi di apprendimento e demenza.

“Il cervello delle persone ex alcoliste o delle persone che fanno consumo di alcol è completamente modificato dal punto di vista della plasticità neurologica,” spiega Carriero alla conferenza, in un video ripreso da Medlife TV. “Alcuni studi hanno mostrato che l’attività delle aree del piacere e della gratificazione, […] per queste persone si attiva solo per stimoli che contengono elementi alcol-correlati.” Carriero spiega che, in qualche maniera, l’alcol modifica completamente i circuiti neurali.

Infatti, fra le molteplici complicanze dovute alla cirrosi epatica (può portare, per esempio, allo sviluppo di tumori al fegato) una delle più complesse è l’encefalopatia. L’encefalopatia è una sindrome neurologica causata da sostanze tossiche giunte al cervello dopo aver bypassato un fegato incapace di fermarle, avendo perso le sue normali funzioni. Queste sostanze tossiche portano a serie alterazioni della coscienza, della personalità e delle capacità neuro-muscolari. L’encefalopatia, che colpisce fino al 45% dei cirrotici, porta a confusione cronica, perdita di sonno, problemi di personalità, ansia, depressione, diminuzione dell’attenzione e problemi di coordinazione.

L’encefalopatia epatica comporta gravi problemi per i pazienti e per i familiari, spiega Massimiliano Conforti, vice presidente dell’Epac Onlus in un’intervista con PharmaStar TV. “Una persona che ha uno scompenso del genere dal punto epatico si ritrova in una condizione psichica non normale,” spiega Conforti. Questo compromette fortemente la memoria del paziente, che talvolta rimane a letto per due o tre giorni o si aggira per casa nudo senza motivo o addirittura diventa aggressivo verso i propri familiari.

Questo scompenso può essere gestito tramite alimentazione, terapia, oppure con l’aiuto di strutture di lungodegenza.

Gli esperti infatti evidenziano l’importanza di un caregiver che si prenda cura del paziente nelle mura famigliari, dando ausilio all’epatologo, ricorda Rosa Ruggiero, dottoressa dell’ASL Napoli 1, all’incontro “Epatologie: i pazienti dimenticati”.

LA LOTTA CONTRO LA DIPENDENZA, LA CIRROSI, E L’ENCEFALOPATIA

“Dopo tanti tentativi la mia famiglia riuscì a farmi ricoverare in ospedale per disintossicarmi, e fu lì che cominciai a frequentare il gruppo A.N.C.A (Associazione Nazionale Contro l’Alcolismo),” mi spiega Pagnani, raccontandomi del suo primo ricovero per alcolismo a soli 23 anni.

 Frequentando l’A.N.C.A. però, Pagnani si sentiva un estraneo. “Erano tutti ubriaconi loro, io no,” racconta, spiegando come una persona affetta da una dipendenza da alcol non si veda malata, non si veda dipendente, e non riesca a comprendere il male fisico che si auto-infligge.

Pagnani continuò a bere ancora per anni, più furtivamente, cercando di illudere i suoi cari che fosse guarito. Una notte, a ormai 27 anni, bevve un’intera bottiglia di Alcover, una sostanza palliativa data per aiutare a controllare l’astinenza, insieme ad uno Xanax, un antidepressivo somministrato a Pagnani per fermare i tremori, insieme a una bottiglia di grappa. Pagnani entrò così in coma e si risvegliò a Roma, all’ospedale Polidoro, un paio di giorni dopo.

“La cosa era degenerata oltre,” spiega Pagnani, raccontando che svegliatosi dal coma andò comunque al bar a cercare di bere. “Non so quale sia stata la molla dentro di me, il 5 Luglio di tredici anni fa… che ho fermato il barista mentre mi versava da bere.”

“Da quel giorno io conto tredici anni di astinenza,” dice, fiero, Pagnani.

“Però l’alcolista e alcolista a vita,” spiega, “tutta la vita ti porterai questa cosa dietro, e le ripercussioni fisiche.” Per rimanere sobri, bisogna avere una famiglia pronta a supportare, e un gruppo di supporto pronto ad ascoltare.

Dopo questa esperienza, infatti, Pagnani rientrò a fare parte dell’ANCA. Cominciò a dare retta ai suoi dottori, e a riprendere in mano la sua vita. Ora Pagnani e’ vicepresidente locale dell’associazione A.N.C.A La Rinascita, e usa le sue esperienze con l’alcol per aiutare gli altri.

“Io ero convinto che stavo a da una mano a loro, cercare di aiutarli… quando invece poi ho capito che malgrado tutto erano loro che stavano aiutando a me,” dice Pagnani. Come con l’A.N.C.A., molte famiglie con problemi di alcolismo o di cirrosi epatica, e di encefalopatia epatica, trovano molto sollievo nel frequentare club e comunità.

Marco Orsega, presidente dell’associazione dei Club Alcologici Territoriali (AICAT), spiega:

“Noi affrontiamo anche, nei club, persone che hanno problemi e patologie di tipo fisico e tipo epatico. I club si integrano rispetto all’intervento di quello che sono i trapianti di fegato, i trapianti epatici e quant’altro…”

Secondo Orsega, i club sono comunità multifamiliare, dove le famiglie trovano uno spazio di relazione in un clima di “empatia, di amicizia, di solidarietà, dove possono affrontare le loro difficoltà.” Orsega spiega che ci sono famiglie che hanno trascorso più di trent’anni nei club, e aiutano a trasmettere alle altre famiglie la loro capacità di affrontare queste cose. “Diventano risorse di promozione di salute della comunità,” dice Orsega.

“Io tante volte ho pregato di morire,” ammette Pagnani, raccontando di quanto sia stato utile per lui il supporto di persone che hanno attraversato la stessa tipologia di dipendenza. “Il gruppo [di supporto], e’ un gruppo di persone che apparentemente possono sembrare tutte sciagurate… ma sono tutte persone, che unite tra loro, ti danno una forza indescrivibile.”

“Sono loro che ti mandano avanti.”